Racconto per il torneo di Joker
La leggenda di Drokar il Senz’anima.
Ormai è molto tempo che vago di luogo in luogo raccontando le avventure che son capitate nella mia lunga vita, e conosco abbastanza bene la curiosità dei viandanti da poter scommettere con te che la storia che ti vado a raccontare varrà un buon boccale di birra pagato di tasca tua…..
E’ il racconto di una guerra sanguinolenta e di un uomo maledetto dal destino, se l’argomento è di tuo interesse, permettimi di sedere al tuo tavolo e comincerò la mia narrazione, altrimenti tornerò sui miei passi per andare altrove a dar notizia delle mie leggende….
Oh! sapevo che avresti preso la decisione giusta…. vedrai che non te ne pentirai… dunque, da dove potrei cominciare….
Non sapevamo per quanto ancora sarebbe durata la guerra, ormai avevamo perso il conto dei giorni ed un nuovo inverno giungeva cupo e prepotente su di noi.
Nei miei incubi ancora riecheggia il suono lungo e possente del corno di allarme e rivivo l’attimo in cui sporgendomi dai bastioni vidi per la prima volta quell’orda confusa e imponente riversarsi come un fiume in piena verso di noi, “Orchi!” gridò la vedetta, un grido che avremmo sentito spesso….
D’altronde li aspettavamo, il nostro compito era quello di presiedere il vertice meridionale del regno dalle incursioni nemiche, ma per quanto potessimo essere preparati al peggio, quell’assedio sembrava non finire mai e le nostre speranze, con l’arrivo dell’inverno, si stavano affievolendo.
Solo uno di noi sembrava essere indifferente a tutto quell’orrore.
Solo Drokar, il capo della guarnigione, era impassibile difronte ai cadaveri che circondavano le mura della roccaforte, alle grida di dolore e al suono dei tamburi che preannunciavano battaglia.
Gli unici sentimenti che sembravano albergare in lui erano la collera verso quei mostri che gli avevano tolto l’unica persona che per lui aveva importanza e l’ossessione per quella runa d’argento donatagli dalla sua amata in punto di morte.
Più volte cercai di intraprendere un dialogo con lui, avrei voluto raccontagli una storia o far qualcosa per distoglierlo dal fare gesti avventati come quello che ci portò alla sconfitta…
Eh si, amico mio, questo non è un racconto a lieto fine, perchè sentimenti del genere non sono auspicabili ad una persona al comando di un’intera guarnigione di soldati.
Egli infatti confidava nel potere della runa in suo possesso, ne era sicuro, credeva fermamente che li avremmo sconfitti, che avremmo estirpato il male, ci credeva a tal punto e ne parlava con tale enfasi da convincere anche noialtri della fattibilità dell’impresa.
Eravamo stremati, l’inverno era alle porte, i viverni scarseggiavano e i rinforzi tardavano ad arrivare, non saremmo riusciti a mantenere il presidio ancora per molto. Si doveva fare qualcosa, e Drokar prese la decisione che decretò le sorti della guerra, diede l’ordine di uscire allo scoperto e di attaccare il nemico qando meno se lo sarebbe aspettato, cioè di notte quando si sentiva più forte…
Eravamo spaventati e disorganizzati, ma anche stanchi di quella guerra a tal punto da impugnare le armi e obbedire a quell’ordine che sembrava insensato.
Al grido di “O vittoria o morte” si spalancarono le porte e attaccammo il nostro nemico.
Non fù una battaglia, ma un massacro….
Gli orchi erano 10 volte il nostro numero e ben presto dovemmo battere in ritirata, ma l’unica cosa che separava noi pochi sopravvissuti a quell’orda inferocita era il portone della fortezza che gia scricchiolava sotto i pesanti colpi del nemico.
Drokar che era gravemente ferito, sembrava non essersi perso d’animo e con una mano impugnava il martello e con l’altra la runa d’argento.
Sembrava impaziente che quelle fetide creature varcassero il portone, aveva un ghigno raccapricciante stampato sul volto che tradiva le lacrime che gli sgorgavano dagli occhi.
Tentai di farlo ragionare indicandogli la via dei tunnel sotterranei, per sfuggire alle asce di quelle belve, ma sembrava incurante delle mie parole e con tono deciso mi disse: ” Vai! Scappa! Penserò io a proteggere la fortezza, non ho bisogno dell’aiuto di nessuno” e a quelle parle cominciò una risata grassa e beffarda che accentuò l’inquietudine che gia mi divorava.
Attesi ancora un pò prima di lasciarlo alla sua sorte e avviarmi verso i tunnel, ma mi pentii ben presto del mio indugio, perchè gli orchi erano prossimi ad entrare. Il portone, la nostra ultima difesa, era caduto con un grande boato e da dietro il nuvolone di polvere gia sentivo i loro grugniti molesti, ma proprio quando tutto sembrava esser perduto sentii Drokar invocare Ghmor e scagliare la più impronunciabile e rabbiosa delle maledizioni verso quelle creature abominevoli che tanto sdegnava e mentre pronunciava quelle parole teneva stretta al petto la runa ormai lorda del suo sangue che cominciò a ronzare e ad illuminarsi a tal punto da stordirmi….
Quando mi ripresi, i nemici non c’erano più, non si sentivano neanche le loro grida in lontananza e Drokar….. Drokar….
Qualcuno ascoltò le sue parole….
Non fù il benevolo Ghmor ad ascoltare Drokar, ma un abomino dell’abisso che volle accontentarlo sterminando i suoi nemici, ma che in cambio lo beffò tramutandolo in un orco della peggior specie, nella razza da lui tanto detestata, che gli aveva sottratto la ragione della sua vita uccidendo Sindyl, la sua amata.
C’e’ chi lo chiama: il solitario, o il folle, o il maledetto, ma la leggenda vuole che nelle terre del sud, ogni notte lo si può sentire…
si può sentire l’urlo straziante di Drokar il senz’anima…
Beh! Amico mio, vedo che hai sentito la mia storia fino in fondo e quindi non ti seccherà se ti chiederò il mio compenso…
Una birra del drago andrà benissimo.
Scritto da Valarion il sopravvissuto.