E lo hobbit chiese:

E lo hobbit chiese:

 

“Notte tempestosa e troppo buia per un hobbit solitario!”
Questo pensava Dilghar dei Rapeverdi, il peregrino, mentre lottava contro la pioggia, il fango e il raffreddore avanzando tra le montagne di Vlaghorian.
“Raggiungi la fortezza dei nani oltre le montagne, cerca il borgomastro e chiedi informazioni sull’ascia perduta” gli avevano detto ieri l’altro, quando brillava il sole e la locandiera regalava due chili di salsiccia a chiunque liberasse la stanza in occasione della fiera. Ora l’inseguimento di una leggenda lo stava conducendo ad un malanno e forse anche oltre. Si dannava pensando a quanto sarebbe stato meglio restare sdraiato nella taverna dell’unicorno e del leone, un boccale di birra vuoto in una mano, una coscia di cinghiale nell’altra e la pancia piena come un uovo! Era preso da questi pensieri quando gli parve di sentire davvero l’odore di carne abbrustolita.
“Che ci sia una compagnia di avventurieri che desina?” si chiese.
Affidandosi al suo olfatto da cuoco, giunse ad un cunicolo che si inoltrava nel cuore della montagna. Accese una lanterna ad olio ed entrò. Mano a mano che avanzava, sentiva l’aria riempirsi di un tepore confortevole ed avvolgente ed l’odore di carne abbrustolita gli faceva brontolare lo stomaco e tornare alla memoria festosi banchetti tra le verdi colline della sua patria.
Giunse ad un lungo corridoio: alla fine pareva che la caverna si allargasse e ad un tratto gli sembrò di scorgere perfino un bagliore! Mentre accelerava il passo per raggiungere la grotta le ombre si mossero! In un attimo la lampada cadde in terra, la fiamma si spense languendo in pochi istanti. Una forza bruta lo afferro’ violentemente per la giacca scaraventandolo contro un muro e poi dentro una crepa. Terrorizzato Dilghar, non riuscì manco ad urlare scorgendo il bagliore argentato degli occhi del suo assalitore. La paura crebbe quando si accorse con stupore che attraverso la crepa era stato trascinato in una  piccola grotta dove quegli occhi argentati, ora, erano diventati sei…
“Hei, Velodas, quello che ci hai portato non mi sembra affatto Ganderl…” disse una voce proveniente dalle ombre.
“Manco a me pare sia lui” rispose l’energumeno che aveva trascinato Dilghor nella grotta, poi aggiunse “non so chi sia questo ragnetto, ma altri quindici metri ed era cibo per drago!”
Dilghor era terrorizzato, balbettava qualche sillaba e si guardava attorno sconcertato, poi ricordò le parole sentite da un avventuriero in taverna: “quando sei in difficoltà sguaina la tua arma!”
Con una mossa fulminea tirò fuori dal fodero la sua spada corta!
Colui che lo aveva rapito nel cunicolo si voltò di scatto: i suoi occhietti allungati lampeggiavano nell’oscurità fissandolo. Un’altra voce rimbombò da un angolo: “Posa quella spada, mezz’uomo, se non vuoi rischiare di irritare Velodas e ritrovartela conficcata nella schiena…”
Dilgor posò la spada in terra, si ranicchiò e piagnucolando disse: “Vi prego, non ammazzatemi…”
Una risata sonora riscaldò l’aria, poi qualcuno disse: “non ti preoccupare, non ti uccideremo” e, pronunciando delle parole antichissime e magiche, si avvicinò a Dilghor.
Lo hobbit percepì il bagliore argentato sui suoi occhi e per un momento ne fu abbagliato, poi cominciò a vedere… Senza luce, ora, distingueva i contorni della grotta come fosse giorno pieno e vedeva tre persone li con lui: un umano, un nano ed un elfo selvaggio armato di tutto punto.
“Non avere paura, giovane hobbit” continuò l’uomo che gli aveva donato il dono della vista al buio, “lascia che ti presenti questi miei amici e compagni di avventure: il nano che vedi li giù in fondo si chiama Laibak, è un chierico e, malgrado il suo aspetto ed i modi bruschi, nel suo grande cuore, assieme al sangue scorre vigorosa la linfa degli dei. Il suo tocco è benedetto e molti più di quanti lo abbiano a temere gli devono la vita, per un modo o per l’altro…”
“Smettila” sbottò il nano dal suo rifugio silenzioso ” o ti si carieranno i denti! Tanto anche se non mi incensi con le tue belle parole il culo te lo salvo lo stesso se serve…”
“Ma di questo non dubitavo, caro amico” rispose l’altro, dunque riprese “l’agile figura che invece ti ha trascinato qui, salvandoti la vita, è il letale Velodas, elfo di poche parole. Non è cattivo, tuttaltro, ma si innervosisce rapidamente e sentimenti come pietà, rimorso e compassione non fanno parte del suo inventario. Insomma: meglio essere suo amico…”
Velodas ascoltava indifferente, come non si parlasse di lui. I suoi tratti tirati mostravano un animo impassibile, una freddezza imperturbabile. Dilghor aveva provato un senso di forte disagio alla presenza di quell’elfo dal primissimo monento e la descrizione che ne aveva ricevuto non lo stava aiutando affatto. Deglutì annuendo.
“Ed infine ci sono io, Farerord…”
Velodas fece uno scatto con la testa e immediatamente l’uomo tacque.
“Arriva” declamò l’elfo con tono secco e deciso.
In un lampo apparve uno gnomo al centro della stanza, bagnato fradicio e con il fiatone.
“Eccomi arrivato… Bene!” esclamò guardando i presenti “il grassone lo ho fatto aspettare fuori, immaginavo voi foste rintanati in qualche cunicolo dove lui non sarebbe riuscit…” si interruppe guardando il piccolo hobbit, poi aggiunse “e questo chi è? L’esca?” E scoppiò in una gracchiante risata cui non si aggiunse quella di nessuno.
“Fai piano” disse Farerord “il drago sa che siamo qui ma meglio che non sappia QUANTI siamo” sussurrò amiccando all’amico gnomo che rispose ammiccando a sua volta, ma apparendo per questo molto più buffo e grottesco.
Poi indicando Dilghor mormorò  “lo hobbit si chiama Dilghor e vi precedeva di poco. Velodas lo ha beccato che andava a farsi mangiare da Xinat’Ser e lo ha portato qui… E’ evidente che non ha idea di dove si stesse infilando!”
“Hhaa… Ho capito ora” rispose lo gnomo “va bene, quindi lo possiamo legare fuori vicino al cavallo mentre facciamo quello che dobbiamo fare…”
“Non fare caso a Ganderl” disse Farerod rivolto a Dilghor che osservava ammutolito “il suo senso dell’umorismo è un po’ così… come dire… Eccentrico!”
“Diamoci una mossa” sbottò Velodas, già lampantemente irrequieto.
“Concordo” aggiunse Laibak alzandosi dalla sua posizione meditativa e mettendosi a posto la lunga babra crespa.
“Daccordo” disse Ganderl, adesso molto più serio e risoluto “Laibak, tu entri dal cunicolo da dietro con Velodas, io esco fuori con Farerord e facciamo l’entrata trionfale con Deloriel. Lo attraiamo verso l’uscita così potete prenderlo alle spalle. Speriamo che il grassone non faccia cose goffe e che Adelas ce la mandi buona!”
Mentre Ganderl parlava, Farerord già pronunciava un incantesimo ed un portale di energia si apriva al centro della grotta. Appena Ganderl finì di parlare, anche Velodas e Laibak cominciarono a pronunciare incantesimi che circondavano loro stessi. Poi lo gnomo si lanciò nel portale e sparì, mentre Farerod sussurrò a Dilghor “se vuoi guardare quello che succede, cerca di tenerti lontano dalla mischia, curioso hobbit!” e strizzatogli un occhio entrò a sua volta nel portale, sparendo.
Dilghor rivolse allora gli occhi a coloro che erano rimasti con lui: Velodas, dopo gli incantesimi, appariva più muscloso, molto più rapido nei movimenti, la sua pelle era grigia e dura come la pietra ed un aura bianca lo avvolgeva completamente. Anche Laibak era avvolto da un aura bianca, ma a questa si mischiava la fiamma viva: avrebbe dovuto ardere come una torcia, eppure appariva incolume.
Laibak pronunciò un ultimo incantesimo che lo avvolse come una sfera rossa, poi esclamò “sono pronto!”
“Andiamo” replicò Velodas.
Si incammino rapidamente per il cunicolo seguito a ruota dal nano e, a qualche metro di distanza, dal piccolo hobbit che ormai tremava, forse dal freddo, forse dalla paura.
Dilghor aveva sognato di fare aventure per molti anni ed ora che si trovava nel bel mezzo di un  combattimento stava cadendo in una sorta di stupore ipnotico. Ad un tratto, pero’, un ruggito squarciò l’aria e lo hobbit si riebbe come da un sogno. Corse fuori dalla crepa, poi nel corridoio seguendo il bagliore degli avventurieri che lo precedevano. Terminato il corridoio un’immensa grotta si aprì ai suoi occhi: un enorme drago rosso si avventava ruggendo contro un gigantesco umanoide di circa quattro metri alle spalle del quale seguivano Farerord e Ganderl. Laibak, invece, scattava dal retro della grotta verso il fianco del meraviglioso rettile mentre Velodas saltava da una roccia all’altra scalando rapidamente la parete della caverna.
Giunti al contatto in pochi attimi, con una immane spallata il gigante sbilanciava il drago facendolo cadere su un fianco. In quel mentre, Velodas, ormai giunto ad una certa altezza, si tuffava verso la sua vittima brandendo una pesante lancia di bronzo: il grido dell’animale quando la lancia gli si infilzò  profondamente nella schiena riempì nuovamente di terrore il cuore del debole Dilghor, che ormai arretrava sbalordito verso il fondo della grotta. Da lontano vide i corpi di Ganderl e Farerod levitare avvolti da un aura verde, subito prima che dal loro torace scaturisse un raggio di energia devastante che colpiva inesorabilmente Xinat’Ser.
Con un balzo, il drago ferito scattò in piedi scaraventando Velodas in terra, lontano. Deloriel, brandendo un enorme spadone a due mani, colpì la bestia sul petto, poi sul muso. L’animale inarcò il collo ed inspirò… Dall’antro della grotta Ganderl e Farerod pronunciavano incantesimi all’unisono: dalle loro mani si materializzavano enormi, violentissime meteore che massacravano il drago colpendolo in ogni dove. Deloriel caricò Xinat’Ser cercando di gettarlo nuovamente a terra, ma fallì miseramente finendo nel fango come un maiale… Il rettile puntò i due maghi con il collo inarcato, le fauci spalancate. Proprio in quel momento Laibak si piantò di fronte a Xinat’Ser e colpendo violentemente il pavimento con il pugno apri una crepa sotto le zampe del drago distraendolo dai compagni: la terra tremava… Xinat’Ser puntò allora Laibak con il muso, la bocca spalancata, espirò violentemente un turbine di fiamme solo in parte riflesso dallo scudo magico del chierico. Ancora una volta Ganderl e Farerod pronunciano i loro incantesimi: una tempesta di ghiaccio e fulmini investiva Xinat’Ser che appariva allora profondamente provato.
Sentendo il dolore lacerargli le nobili carni, il drago maturò in un baleno la saggia decisione che guida i gesti di una creatura millenaria. “Non finisce quì” tuonò Xinat’Ser aprendo le enormi ali da pipistrello. Poi un battito d’ali sollevò polvere, fango, foglie e detriti: un attimo dopo il drago era scomparso…
“Andato” mormorò allora Velodas che si era rialzato e si avvicinava ai suoi amici.
“Meno male” aggiunse Laibak spegnendosi fiammelle sulla barba abbrustolita.
Deloriel si alzava dal fango brandendo la spada, accecato dall’ira, alla ricerca del suo nemico:”Drago qui, Deloriel spacca tua testona!”
“Calmati Deloriel, anche questa volta Xinat’Ser ha salvato le scaglie, o forse dovrei dire che siamo noi ad avere salvato la pellaccia…” disse Ganderl, avvicinandosi al gruppo.
“Su, entriamo nella grotta e vediamo se ne è valsa la pena” aggiunse Farerord mentre procedeva a passo svelto verso l’interno della grotta.
Gli altri lo seguirono.
Dilghor corse incontro agli avventurieri vittoriosi carico di ammirazione e meraviglia.
“Siete degli avventurieri leggendari” esclamò con entusiasmo.
Deloriel gli ingarbugliò i capelli con la sua enorme manona: “chi essere questo bambino? Cena di drago?”
“Quasi” gli rispose Laibak “si chiama Dilghor: Velodas lo ha pescato nel cunicolo mentre si avviava nella grotta del drago”
“Capisco” esclamò Deloriel.
“Ma davvero?” disse Ganderl con ironia “non succede di frequente… Forse dovremmo brindare con il vinello dell’otre di Farerord…”
“Quello non si tocca!” ribattè subito Farerord con un sorriso tra le labbra.
Deloriel borbottava accigliato.
“Eccolo” disse Velodas quando il gruppo approdò ad una montagna d’oro e tesori.
“O-RO-O” balbettò Dilghor quando lo vide.
“Non per quello siamo qui, piccolo mezz’uomo” disse Farerord “ma per quello che vedi un poco di lato”
Quando Dilghor spostò lo sguardo verso il margine del cumulo di tesori, vide un corpo esanime, mezzo abbrustolito: per un attimo ebbe un conato di vomito. Era uno gnomo, malamente mutilato ma ancora avvolto da monili luccicanti.
“Se non fosse stato coperto di tesori preziosi, Xinat’Ser lo avrebbe già mangiato. Solo l’avidità è maggiore dell’ingordigia nei draghi…”
Ganderl nel frattempo esaminava da vicino il corpo abbrustolito, poi dichiarò: “E’ Ghober! Laibak, sei pronto?”
“Noi nani siamo nati pronti! Fatti da parte gnomo!” rispose il chierico avvicinandosi al corpo.
Laibak cominciò un estenuante rituale alla fine del quale una luce avvolse il corpo dello gnomo abbrustolito: la pelle ricomparse sulle bruciature, le ferite si chiusero e gli arti rigenerarono.
Dilghor osservava pietrificato l’incredibile mano degli dei agire attraverso l’incantesimo del chierico.
Alla fine Laibak cadde al suolo, esausto mentre lo gnomo riapriva gli occhi e si metteva seduto un po’ scosso, come se si fosse appena risvegliato da un lungo sonno, poi disse frugando il terreno con le mani: “dove stanno gli occhiali?”
“E’ proprio lui” disse Farerord mentre Ganderl abbracciava l’amico risorto.
“Guarisci il nano mezzo morto” disse Velodas stentorio, rivolto a Ganderl.
Il saggio gnomo, asciungandosi le lacrime agli occhi, pronunciò incantesimi di guarigione che rapidamente ristorarono il chierico nano, poi guarì con la magia anche Ghober, che pareva piuttosto malmesso, nonostante il rituale appena compiuto.
Mentre si riprendeva, Ghober acquisiva lucidità, poi disse: “non mi stupisco di risvegliarmi vicino a tanto oro, ne mi stupisce risvegliarmi con voi, miei amici, al fianco… Ma che ci faccio in questa grotta?”
“A giudicare dal carro di legno che ti eri portato” rispose Farerord indicando un carro posto sul fondo della grotta “direi che eri venuto qui a prelevare un po’ d’oro dalle casse del drago Xinat’Ser!”
“Ha” rispose Ghober “e voi eravate qui con me?”
“No” rispose Ganderl “noi samo dovuti intervenire dopo…”
Ghober si alzò e cominciò a parlare dicendo “potevate risparmiarvelo… Ce la facevo da solo contro il drago… Ma avete fatto bene a venire con il grassone: Deloriel, carica un po’ dell’oro su quel carro!” e dando ordini e disposizioni cercava di nascondere il disagio di essersi messo in una simile situazione.
“E’ tornato proprio tale e quale a prima” disse Laibck “ogni volta mi illudo che tornino un po’ migliori, ma niente!”
Farerord sorrideva. “Ghober, ti presento Dilghor, è venuto con noi a darti una mano!”
“Davvero?” rispose il saggio gnomo “bravo piccolo hobbit! Potresti essere un buono scudiero, ma ora vai aprendere il cavallo che sta fuori!”
Dilghor si rivolse a Farerord “avete rischiato tutti la vita per un avido gnomo morto tentando di rubare i soldi ad un drago feroce?”
“No” rispose Farerord “abbiamo rischiato la nostra vita per la vita di un amico!”
“Il vostro animo è nobile come quello di creature leggendarie, una rarità in questo periodo di disordini”
Farerord sorrise “Non è poi così raro nel nostro Clan, piccolo hobbit.”
“E quale è il vostro clan, se posso chiederlo” rispose Dilghor.
Laibak si avvicinò a Farerord con lo sguardo sornione abbozzando “mi sono meritato un po’ di vinello, mastro Farerord, non trovi?” e già allungava la mano verso l’otre nero tenuto dal mago.
“Si Laibak, eccotelo, ma non farti vedere dagli altri!” rispose l’umano allungando a Laibak l’otre con il vino.
Poi voltandosi di nuovo verso Dilghor gli disse: “noi siamo Gli Unicorni Alati”.

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