De rerum lunae

De rerum lunae

Parecchi mesi addietro

Mi stavo incamminando per quel bosco oscuro, ormai la guerra contro i nostri rivali del regno delle tenebre eterne era stata persa scioccamente.
Molti dei nostri eroi erano stati bloccati in altre imprese indebolendo così di molto il nostro esercito riducendo così le presenza in battaglia.
Non potevo in una notte di luna piena come quella non andare nella selva antistante alle mie grotte, a meditare sui motivi di quella sconfitta.
Molti dubbi presero il sopravvento sulla mia ormai affermata esperienza guerriera, lo sconforto era molto visto che non ero riuscito a raccimolare un piccolo manipolo per sconfiggere quei due cani spavaldi che erano. Così incamminandomi sovrapensiero nel bosco di betulle nere, mi accorsi che senza volere stavo andando nella direzione del canto di un’upupa di passaggio.
Mi trovai così di fronte ad un laghetto limpidissimo che rifletteva appieno la luce della luna. Mi specchiai li dentro e non vidi nulla, solo buio e tenebra rifletteva la mia immagine non riuscendo nemmeno così a notare i contorni del mio corpo. Mi levai la maschera e mi sfiorai il volto per essere sicuro di essere ancora un corpo vivente con uno spirito di morte.
Ormai erano molte lune che più nessun mostro o amico del bene, riusciva più a ferirmi mortalmente, al massimo subivo gravi ferite che però subito curavo con le mie doti clericali.
Lo sconforto così lasciò il posto ad una sicurezza innata che mi caratterizzava fin da quando ero giovane, ero sicuro che prima o poi la maggior parte degli esseri che vivevano su quelle terre sarebbero stati in mio potere. Oppure che comunque in qualche maniera, un’ombra del male che ormai aveva fatto di me un suo umile schiavo, si instaurasse nelle loro menti in modo da portarli a compiere atti malvagi solamente per il gusto di farli.
Tuttavia mi sentivo incompleto e non del tutto soddisfatto, c’era una cosa che sicuramente non sarei mai riuscito a soggiogare al mio volere e potere negativo.La guardai e nell’istante stesso in cui vidi i suoi raggi, essi arrivarono al mio cuore scaldandolo di bontà naturale.Maledizione, che mi stava accadendo?
Dov’erano i ricordi di mille battaglie, il sangue sparso in terra di innocenti bambini, le teste mozzate di guardie insulse e gli arti sparpagliati di mostri senza ragione?
Sparirono in un colpo solo, e mi sentii anche bene come se quei spiriti da me straziati, mi avessero perdonato per le mie malefatte.Io non volevo il loro perdono non mi interessava!
Tuttavia, più la guardavo e più la percepivo come una cosa saggia, tranquilla con se stessa di fare sempre lo stesso lavoro da millenni e millenni e di non chiedere mai nulla di più e nulla di meno ma solo ciò che gli spettava.Si preoccupava di illuminare le notti di quel mondo oscuro, con pochi raggi riflessi del sole, per permettere la crescita e lo sviluppo della natura stessa.Ne regolava i flussi dell’acqua, dava alle correnti di vento la capacità di salire o di discendere dai cieli, illuminava la strada per i viandanti dispersi nelle foreste.
In un certo senso era la padrona del mondo notturno, fredda e distaccata sapeva però anche accudire i suoi protetti nel momento del bisogno.
Oh avrei voluto essere come lei, lassù nei cieli dello spazio profondo a regolare le vita degli esseri mortali senza più coinvolgimenti emotivi e allo stesso tempo preoccupandomi di ciò che accadeva qui sotto.
Mi riguardai nel laghetto e stranamente, la mia immagine riflessa questa volta comparve, il bagliore che emanava quel astro era diventato più forte e stava allontanando da me la tenebra del buio. In fondo era solo una palla rotonda quel astro, ma sapeva ridare positività alla mia vita malefica e nuovi obiettivi da raggiungere.
La guardai un’ultima volta prima di tornare alla mia dimora, mi sentivo irradiato da tutta quanta quella sfera colorata, dapprima pensai che un giorno o l’altro l’avrei raggiunta ma poi preferii immaginare che un giorno o l’altro essa si sarebbe reincarnata per seguire da più vicino i suoi accoliti.Ma se ciò fosse accaduto il mio futuro sarebbe stato ancora di più incerto e insicuro.
Cercando di non pensare a ciò scappai via da quella luce, che stava sempre più prendendo i miei occhi senza lasciarmi tregua.

Tibodò

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