La notte del drow

La notte del drow

Notte.
“Un bel villaggio per l’arte umana” pensò l’elfo nero. “Per fortuna c’é ancora il buio” continuò “Mi da’ troppo fastidio quella maledetta luce scintillante del cielo”
Coperto dalla notte, dalle ombre e dal suo istinto, il drow si stava muovendo senza farsi vedere.
“Forse un po’ troppo religiosi questi umani…” commentò guardando le piazze, le fontane e le strade intestate agli Dei.

“Ma devo pensare al mio scopo” e al finire di quel pensiero, pura energia psichica lo ammantò alla visione delle persone normali.
“Il palazzo. Ci sono due guardie… non sono un problema… umani disgraziati”
Un pensiero veloce e un altrettanto rapido movimento lo fecero saettare all’attacco di una guardia.
Il fendente della Tumadan, arrivò quasi contemporaneamente al raggio mentale scaturito dalla mente dell’elfo nero, mentre, questo, appariva quasi dal nulla.
La prima guardia, colpita di sorpresa e piegata dal colpo psichico, morì subito dopo l’arrivo del colpo di spada.
L’altra guardia, accortasi dell’attacco, stava per estrarre la spada.
Con fredda lucidità, il drow, tolse la Tuma dal corpo del morto e diede un colpo di lato, andando a tagliare il braccio dell’altro nemico.

Lo shock e lo stupore dell’umano furono quasi più forti del dolore, ma questo non tardò a farsi sentire.

L’elfo nero, in estasi per la sofferenza del nemico, attese quasi troppo prima di finirlo.

“Bene e ora pensiamo ad entrare”. L’elfo richiamò ancora l’invisibilità psichica su di se mentre, di soppiatto, penetrava nel castello del conte Keldon.
“Li sento nella mia mente! Li vedo!” “Sua moglie… sua figlia… il suo figliolo… AHAHAHAHAH!”
L’elfo concentrò la sua energia mentale e, con la punta della spada, disegnò un’elisse delle dimensioni di una porta, in aria. Il passaggio prese a risplendere di luce “nera”, come fosse fatto di nuvole scure, violacee e luminose in continuo movimento. Con quei gesti aveva tagliato il tessuto spaziotemporale per ricavarsi un passaggio verso la famiglia del conte.

Attraversato il passaggio si trovò alle spalle della moglie del conte che guardava la notte dalla finestra. Silenziosamente sollevo la spada e trafisse Aarivna senza pietà.

Aprì la porta e, seguendo alcune tracce psichiche, si diresse verso la stanza di Zubina.
“Mi voglio proprio divertire ora” pensò.
Busso alla stanza ed entrò lentamente. Nel farlo, utilizzò il travestimento psichico e si presentò con le sembianze di Aarivna.
“Salve madre” salutò cordialmente Zubina “desiderate qualcosa?”
“Sì cara” rispose l’elfo camuffato, “vieni, ti volevo spazzolare i capelli come facciamo sempre” disse, leggendo la mente della ragazza.
“Siedi alla toletta” continuò.

La ragazza andò a sedersi con una lieve corsa e si voltò di spalle.
L’elfo si avvicinò, le accarezzò i capelli e glieli portò indietro, poi disse “Ecco, ti volevo parlare anche… della morte!”.

E, finite quelle parole, con un veloce movimento estrasse la spada e le tagliò la testa, mentre il travestimento psichico collassava.
“Devo pensare al conte ora. Non ho tempo per altri” pensò l’elfo. Ancora, nascosto dalla vera oscurità e da quelle che creava con la sua mente, si diresse verso il suo vero obbiettivo.
Aprì l’ultima porta che lo separava dal conte e, appena entrato, si rese conto dell’enorme errore che aveva fatto.

Seppur la stanza era vuota, il suo istinto gli diceva che qualcuno lo stava osservando.
Il conte Keldon, lo assalì alle spalle e gli conficcò profondamente un pugnale nero nella schiena.

All’elfo non ressero le ginocchia quando il dolore lo investì passando dalla spina dorsale fino al cervello.
“Bene” disse il conte, che da dietro fece qualche passo per portarsi di fronte all’elfo.

“Un elfo nero venuto per assassinarmi. Non me lo sarei aspettato”.
“E cosa desideri da me?” chiese, ironico, battendosi la mano sul grande amuleto nero che portava al collo.
“Maledetto!” disse il drow, mentre con un colpo di tosse sputò sangue.
“Sono queste le tue ultime parole?” chiese il conte.
“No! Ho ucciso tua moglie e tua figlia, bastardo!” disse con un sorriso insanguinato l’elfo.
Il conte si piegò un poco, gli si avvicinò con la faccia e disse “Grazie, hai risolto un problema” e nel finire di quella frase fece saettare il pugnale verso il cuore dell’elfo.

 

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