I tarocchi di Cloris (resoconto quest prima parte)

I tarocchi di Cloris (resoconto quest prima parte)

 

Il cielo. Il cielo e le stelle. Quella sera si potevano vedere benissimo, solo una piccola falce di luna disturbava leggermente la loro luce. Sotto a quel cielo invece una città brulicante di avventurieri vivevano le loro storie, storie che si sarebbero unite in quel giorno, ma questo per ora lo sapeva solamente lei.

La forza.

“Maledizione” pensò  “era la prima carta ed é uscita rovesciata”.

La cartomante prese il resto delle carte, mescolò sette volte come di consueto e prese un’altra carta.

L’appeso.

“Un imprevisto, la necessità di aspettare…. Oppure qualcosa che arriverà”.

Rimescolò le carte e ne estrasse un’altra.

L’angelo del giudizio.

“Rovesciato anche questo.” Pensò, poi mormorando tra se e se disse “Un giudizio… che gli Dei ci vogliano mettere alla prova?”

Mancava solo l’ultima carta ora.

La torre.

“MALEDIZIONE” si tirò su in piedi di scatto dando un pugno con la sua delicata mano di elfa sul tavolino. “Devo assolutamente fare, qualcosa. La torre é presagio di sventura, devo chiamare qualcuno al più presto!”

Cloris prese carta e penna e iniziò a scrivere velocemente una lettera, la chiuse e poi pose il sigillo della conclave delle cartomanti. La lettera arrivò prestissimo in capitale, dove la notizia di una sventura imminente si diffuse a macchia d’olio.

Non fu sorpresa quando vide quel gruppo di avventurieri entrare nella sua saletta.

Il primo ad entrare era un elfo nero che si sedette molto comodamente davanti a lei, poco dopo entrarono uno gnomo, un nano, un umano e tre mezzi giganti.

“Io sono Rakhnar, il chierico dominatore del tempo” disse l’elfo nero.

“Il mio nome é Alymas il saggio” disse lo gnomo guardando con bramosia la bellissima cartomante.

 “Askalez, lo psionico, al vostro servizio” che trasmise quelle parole alla mente di tutti i presenti.

“Tungarim, il templare” disse il nano rivolta all’elfa.

Tuonò poi il primo dei tre mezzi giganti “Io sono il barbaro Ukheron, primo sacerdote dell’ira sanguinaria, conduttore delle armate di Krialir.”

Poi l’altro “Io sono il guerriero Evain, la mia forza é al vostro servizio” ed infine l’ultimo “Io sono il barbaro Gilgasur, possa la mia arma essere utile a questa causa” .

L’elfa li studiò velocemente da dietro il suo chador semitrasparente che le velava la testa tranne che per i bellissimi occhi.

“Ho avuto dei brutti presagi dalle carte“ iniziò, “Poveri noi, una minaccia incombe e i tarocchi non mentono.” Si fermò mentre teneva il suo mazzo di carte stretto tra le mani e poi continuò “Ma… i tarocchi non mi hanno potuto rivelare la vera natura di questa minaccia.”

Abbassò un istante uno sguardo verso il suo mazzo e poi lo rialzò verso il gruppo dicendo “Un oggetto… un oggetto leggendario mi potrebbe aiutare a sapere da dove proviene la reale minaccia. Si tratta della boccia di vetro della regina delle amazzoni.”

A quel punto l’elfo nero chiese “Ma sai dove possiamo trovare questa regina?” e la cartomante “No. Del popolo delle amazzone e della loro regina si son perse le tracce, solo uno sparuto numero di guerriere sembra percorrere queste lande ora, ma potrebbero ricordarsi ancora qualcosa…”

Tutti in quel momento si guardarono, avevano incontrato le amazzoni in una foresta non lontano dalla Città Nuova. Si congedarono velocemente dalla cartomante e intrapresero il viaggio verso la vicina foresta.

“Brutto posto questo” disse Evain “infestato da streghe e mostri, non potevano scegliere una zona migliore?!”

Tutti erano d’accordo con le parole del guerriero quasi a testimonianza delle numerose battaglie condotte contro le streghe di quel posto. Si stavano inoltrando in quella foresta che sembrava apparentemente viva, gli alberi si muovevano quasi seguendo una lontana e ipnotica musica e i loro rami sembravano tendersi verso di loro quasi per afferrarli.

Finalmente da lontano intravidero una donna, non era una strega, ma una guerriera, un’amazzone.

L’amazzone era seduta in una piccola radura, vicino ad un fuoco che aveva acceso per scaldarsi. Quando l’amazzone udì i primi passi prese la sua lancia pronta a difendersi ma subito uno dei primi apparsi, un mezzo gigante, mise le mani avanti a difesa e disse: “Amazzone tranquillizzati, non siamo qui per combattere. Vorremmo solo sapere della storia del tuo popolo poi ce ne andremo.”

L’amazzone si calmò, inoltre era anche in pesante inferiorità numerica le sarebbe convenuto assecondare quegli stranieri se volevano sapere solo del suo popolo. “Va bene disse, sedetevi pure al mio fuoco.” Poi proseguendo “Una volta eravamo un grande popolo, questi però sono dei tristi ricordi.” “B’é… noi abbiamo saputo che la vostra regina aveva un artefatto, una boccia di vetro” disse Gilgasur. “Non abbiamo avuto molte regine e non ricordo molto di una boccia di vetro… però… posso dirvi dove stanziava il nostro popolo a quei tempi.” disse con una nota di amarezza e dispiacere. “Nelle leggende si racconta di un isola a nord ovest di queste lande… in quest’isola il mio popolo venne distrutto da un altro che aveva delle navi… fu la fine per noi. Da allora più nessuna regina ci guidò”. Ricordare la storia del suo popolo doveva averle fatto molto male perché finite quelle parole si alzò di scatto e scompare immediatamente nella foresta. Da lontano gli avventurieri, che si stavano già preparando a lasciare la foresta, sentirono un lungo grido di rabbia e di dolore di una solitaria amazzone…

“Saed” disse Ukheron “L’amazzone ci ha detto abbastanza. Credo proprio che dobbiamo andare in quella città di mare.”

“Andare?!” trasmise Askalez “Io non penso!” enfatizzando l’ultima parola.

Lo psionico chiuse un secondo gli occhi mentre gli altri del gruppo videro lo spazio e il tempo piegarsi sotto la sua volontà.
 
 

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