Custode nello cuore (parte I)
Era l’estate più calda e quieta di tutta la era et io giunto ancora non ero all’età che di maturezza vien chiamata. Tutto lo mondo mi parea disegnato per la mia gioezza e la man veloce che tale mondo disegnava, parea che a me chiedesse come codesto mondo disegnare. Lo tutto era perfetto e dalla vita mia potea aspettarmi tutto, tranne li fatti incredibili che mi andavano ad incontrare e che io andavo allo lettore mio paziente a raccontare.
Quello mese per calor famoso, imbarco trovai in uno grande vascello, fortuna volle che lo capitano uno giovine abile collo coltello cercasse e che io nello porto mi trovassi, proprio poco pria che lo vascello salpasse. Lo bruttu e vecchio Capitano Lurfus mi guardò uno poco, mi diete una pacca sulla spalla che quasi preferia mi desse uno cazzotto, e mi disse: “Uno che grane pianta non mi sembri, giovine elfo. Se hai voglia di lavorare puoi salire”. Io, che poco conoscea della lingua che la gente di mare usa e poco conoscea dello mondo tutto in genere, gli risposi: “Si Messere, mai grane io piantai e in vero null’altro mai in vita mia ho piantato, guerriero sono, mica contadino”. Lo capitano mi guardò freddamente, mi ruttò in faccia e mi disse: “Sei dei nostri!”.
Mai riuscì a capire se lo capitano con se mi volle perché uno tipo poco sveglio cercasse o perché credete che di spirito fosse la mia frase, ma poco importa oramai, allo tempo contento molto ero et orgoglioso della mio nuovo lavoro sia che la nave di pirati fosse, sia che contra ad essi andasse. Onore mi sarei fatto et chiaro et vero.
Parvo tempo, in vero, mi ci volle per capire che né pirata né guardia io ero e che lo coltello mio, utile solo era in cucina. Codesto imponente vascello altro non era infatti che uno traghetto che spezie e strani fiori traghettava. Lavorai per quattro lune nella stiva della nave mia, a pelar patate e tagliar grassi pomidori et sempre stavo con Treky lo cuoco, tra li fuochi più sporchi, nella cucina più lurida, dello vascello più zozzo, in mezzo allo mare più nero che si potea immaginare, ma Treky semper lieto stava e tanto bene facea lo lavoro suo che creo io che, se l’anima davvero esiste, lo cuoco Treky quella usava per cucinare.
Le giornate dure assai erano ma divertenti anche, la ciurma allegra era, e notte non passava senza che tutti noi si stava a sentire le storie dello Capitano, che tanto bene raccontava, che parea di stare allo teatro; di Bussolotto bene mi ricordo, uno hobbit così appellato perché uno poco grasso era ma anche perché nulla stella conoscea e mai sapea dove lo norde o lo sud stava, Bussolotto la erba pipa sapea far seccare come nessuno pria di lui e potea far sigarette per la ciurma tutta nello tempore di uno starnuto; Filibustus invece uno elfo come me era, e da giovine studiato avea per esser mago ma, in vero, solo barili di birra sapea fare ma più spesso barili vuoti o birra sine barile colle sue parole apparivano et anche se dopo che magia facea, più nulla potea fare per uno giorno intiero, lo capitano sempre dicea che Filibustus più che utile era e senza di lui la nave non potea salpare. Tanti altri amici vi erano e con loro lo tempo sempre uguale a se stesso percorrea lo cammino suo, sole dopo sole, luna dopo luna.
Uno giorno però, che parituro a quello prima e non dissimile a quello che dovea venire apparia, accadde lo fatto che la mia vita cambiò. Troppo a lungo ero stato con lo caro Bussolotto e creo io che troppa erba pipa insieme fumammo tanto che arduo divenne trovar la cabina mia e la testa girava come lo timone impazzato in una tempestosa notte. Passeggiavo per lo ponte a disegnar sigarette con le stelle dello cielo quando uno pesce, che parea più grande della nave tutta, vicino a me saltò come se burla volesse farmi a mostrandomi lo ventre suo. L’onda di bianca schiuma che lo salto partorì con se nello mare mi mischiò e pria che io potea dir “Aiuto!” la nave già lontana stava. In vero provai a gridare et urlare ma nulla accadde, nuotai per ore mentre la luna stava a guardarmi ma nulla terra et nulla nave poria veder collo mio occhio di elfo e stanco come uno pesce che fuora dalla acqua nuota, in breve, mi trovai. Caddi svenuto, oggi creo io tra le braccia dello dio del mare.
Ricordo bene quello giorno lontano, come se lo sole calato sullo quello di, l’ultimo sole visto fosse. Mi risvegliai, in una nera spiaggia, vestito di alghe e fame, solo come solo sta lo pensiero triste nelle allegre feste, solo ma vivo.
Mi alzai e pochi passi dopo, quella che era sabbia, melma ora era e la spiaggia una sporca palude diventava. Camminavo piano, collo fango che quasi mi copria fino allo ginocchio, in codesto posto che uno puzzo strano avea come se li sorci dello mondo tutto, qui venissero a morire, camminavo piano e attento e tra la alberi che di fango vivon vidi uno animale che uno uomo parea, curioso come lo avventato gatto mi avvicinai e vidi che, in vero, di uno uomo si trattava che uno animalo parea, strana pelle tenea e testa di serpente e occhi seri e neri come la notte.
Nulla amicizia avea intenzione di fare con codesto strisciante individuo e silenzioso mi allontanai senza mai le spalle voltargli ma pochi passi dopo mi trovai a sbattere contra una qualche cosa che in uno istante di fango e melma mi avea riempito lo corpo tutto, alzai lo sguardo e dallo fango parea nascesse uno mostro tanto grande et brutto et forte che lo coraggio mio fuggì prima ancora che io avessi lo tempo di spaventarmi. Cercò di colpirmi e, giuro ancora oggi non so come feci, schivai li colpi suoi et, colle poche forze che ancora tenea nella mia gambe, raggiunsi lo mio coraggio che poco da li si era nascosto e gridai aiuto forte tanto, che la voce parea una campana che lo villaggio intiero devea svegliare, aspettai nascosto e impaurito e ogni momento mi parea una vita intiera, quando una voce strana mi entrò nello cervello: “Tutto a posto?”. Non sapevo cosa fare, pensai forte “Aiuto” credendo che collo pensiero dovessi rispondere, ma nulla accadde, pensai ancora più forte che quasi la testa mia parea più piccola dello cervello, ma nulla. Poi di nuovo quella voce: “Sto arrivando!!”. Uno istante dopo una luce forte apparve e dopo di essa uno possente nano che di luce parea fatto, mi disse di seguirlo e io lo feci, senza nulla chiedere, assieme allo nano dalla medesima luce altra gente apparve, lo nano verso loro si girò e con poche parole spiegò il da farsi, tutti sembravano aver ben capito la situazione tranne me, che sporco di sangue e vergogna, stavo li a inseguir pensieri e paure, ancora uno poco temendo per la vita mia, così tremante reincontrai lo sguardo dello nano che mi fece l’occhiolino e poi pronunciò alcune arcane parole e con lui uno elfo vestito come li maghi che nei libri solo si incontrano, uno istante dopo mi sentivo sano como uno pesce et forte como uno drago, mi guardai le mani e non le vidi, guardai meglio e mi parea di esser fatto di luce e acqua, si potea vedere la mia figura ma anche quello che dietro si celava, lo nano mi disse: “Sono Revenge, Custode della Giustizia, costoro sono miei amici e compagni, l’elfo che vedi dinanzi a te è lo potente stregone Keaven e quel brutto omone silenzioso è Ikarus, re dei Barbari. Sei al sicuro ora.” e mai in cuor mio mi sentii al sicuro come in quello momento. Lo barbaro mi guardò perplesso e mi chiese: “Cosa fai tu qui, giovane elfo?”, uno poco vergogna tenevo e certo spiegare non sapevo cosa fosse accaduto e gli dissi solo: “Non so, smarritomi sono e uno mostro che di fango fatto parea mi sta inseguendo”, e lo barbaro: “Uno mostro di fango dici?”, e io “Si fango parea, ma, per dio, potea esser anche cacca dallo puzzo che avea”, e lui, “Codesto giovane elfo combatte collo fango e resta vivo, incredibilo pare mi sei simpatico elfo, dimmi lo tuo nomine e stai sicuro che non lo dimenticherò”, “Royner mi chiamo, Figlio di Jaskor, vengo dal villaggio Gitanias e da li partii due estati or sono in cerca di fortuna e gloria”, lo elfo sorrise e disse “e qui ne troverai molta giovane amico, se onore avrai et coraggio anche”. Le sue parole sempre care mi rimasero e da sempre ricordo quelle virtù come le prime dello buon guerriero. “Ora basta parlare” disse lo nano sorridendo, “andiamo a giocare collo fango”.
Lo barbaro si allontanò solo di pochi passi e noi lo seguimmo di corsa per trovarlo poco più in la a massacrare quella strana ed informe fanghiglia, bastarono pochi colpi dello bastone che in mano tenea e dello mostro poco da guardare rimase. “Royner, a Gitanias ti hanno insegnato a leggere le magiche pergamene?” mi disse Keaven, “Magiche pergamene Messere? Mi spiace non ne ho mai veduta una vera”, mi sorrise, poi lo capo per uno momento chinò e colla voce tanto bassa che solo lo animo suo potea capire le parole pronziate, fece apparire uno strano muro fatto di acqua e fulmini fermi, “Attraversalo Royner” mi disse e io così feci. Di uno solo passo avanzai in una grotta fatta di luce e subitamente lo mondo attorno a me cambiato era e mi parea di stare a mille leghe dallo tremendo paludoso loco in cui poco pria stavo, ora mi trovavo allo bancone di una locanda che gente tanta tenea dentro che creo io manco uno bimbo nello ventre tanto stretto sta.