[Background UA] Ruivhor, Gravhor, Petuel e Melidor

[Background UA] Ruivhor, Gravhor, Petuel e Melidor

Caro Jaariz,
come da te richiesto, ho condotto una indagine di archivio per cercare tutte le informazioni esistenti sui nominativi che mi hai segnalato. Non esiste nessun documento recente a riguardo e, d’altronde, mi avevi detto tu stesso che si tratta di avventurieri partiti per terre lontane una decina di anni or sono. Purtroppo quasi la totalità dei documenti è andata bruciata nell’incendio che 8 anni fa coinvolse l’ala est dell’edificio. Tuttavia tra le vecchie carte impolverate di uno scaffale sono riuscito a trovare un poemetto di autore sconosciuto, in cui viene narrata in versi una storia che vede partecipi quasi tutti gli avventurieri di cui mi avevi chiesto. Non so dirti se si tratti di un racconto veritiero o soltanto di una graziosa opera teatrale, ad ogni modo non credo si possa trovare altro a riguardo… direi che dovrai avvalerti del tuo giudizio e decidere se è il caso di fidarsi o meno delle tue nuove conoscenze. Sono sempre a disposizione per qualsiasi altra evenienza. Un affettuoso saluto,
Dunde, L’inquisitore.

Il Ratto Di Chordy
PREMESSA

Se vogliate darmi spazio,
Del gran d’uomo, cui sua razio
L’obbligava esser cortese,
Saprò dirvi ardite imprese.

Qui, di Ruivhor, suo pensiero:
Ora, è giusto, si conosca
Ch’egli nobile è di cosca,
In difesa sempre al vero.

Sin da quando fu bambino
Di giustizia è paladino,
Cosicché trovò mestiere
Che soddisfi il suo volere.

Mai smontava giù di sella,
Che’, già intrepido “guerriero”,
Pria scrutava la sua stella,
Poi cacciava lo straniero.

Questi avea gentil sorella,
Qual portava Chordy in nome,
Lui tornando d’uopo al pome…
S’occupava di tal bella.

Poichè fragile e virtuosa,
Tra li amici fu concetto,
Tale da bramata sposa,
D’un bel fiore darle aspetto.

Ella s’era innamorata
Di quel principe del foro,
Alto, bello, dolce e moro.
Già di nozze avea la data.

Ma lo sposo, inviso ai grandi,
Poiché lungi ai lor comandi,
Questi lo voletter solo
E commisero gran dolo.

* * * *
L’OFFESA (I)

Fu che Ruivhor smette l’arma
E s’accinge alla dimora,
Ove Chordy attende l’ora
Ch’ei riposi dal suo carma.

Quasi al termine del passo
S’interrompe per gran chiasso
E riprende a piè veloce
Dietro l’urlo d’una voce.

Lì davanti il suo casale
Scorge chino su d’un prato
Per l’offesa d’un gran male,
Cui vorrebbe aver cognato.

Ruivhor (R):”‘Chè con occhi vedo orrore,
Dimmi, Petuel, cosa incorre?
La ragion non posso porre
Per comprendere il dolore.”

Petuel (P):”Ho tentato, iddio mi creda,
Perché lei non fosse preda,
Ma eran troppi di quel patto
L’hanno avuta, quest’è un ratto.”

R:”Ora è saggio ch’io capisca
Quale sia ragion che guida
Malviventi di tal bisca
A provarmi in questa sfida.

Pria volgiamo al tuo malore
Già di molto ho avuto tolto,
Quand’avrai pulito il volto,
Sazierai lo mio stupore.”

Sì, s’apprestano in presenza
Di colui che con pazienza
Riconosce tutti i mali
E i rimedi che son tali.

Alla tenda d’ospedale
C’è Gravhor che fa onore
Alla causa che gli vale
D’essere noto guaritore.

Gravhor (G):”Qualche punto di sutura…
Riconosco le percosse
E pur mani che le mosse,
Altre volte ho avuto in cura.”

R:”Voi sapete, oppur baggiate,
Le legnate chi le ha date?
Fate luce alla giustizia
Ch’io mi batta con chi vizia”.

G:”Stanno cauti li briganti
Nel percorrere le strade,
Ma la dove sono tanti
Fanno regno di contrade.”

Detto questo li dimette.
Quei si tornano a parlare
Della causa e del da fare
Per stanare tali sette.

R:”Bene, esponi con chiarezza
Sì che n’abbia la certezza,
Come osarono i malvagi
Provocarmi quei Disagi?”

P:”Io che milito di legge
Penso uguali le misure
Per pastore e per il gregge:
Guardo all’uno e all’atro pure.

Un amico tempo addietro
M’ha svelato un gran segreto,
Ma i potenti poser veto
Ch’io rinunci a stargli dietro.

Jeff, maestro, è l’arrogante
Ei d’astuzia l’è un furfante
Sa atteggiarsi a prosperoso
Mentre, in vero, è criminoso.”

R:”Tale fatta ha grande peso
Già che aggrava di congiura
Quel che ancora sta in sospeso:
Io farò che più non dura.”

* * * *
LA COLPA (II)

Indi Ruivhor da il saluto
E s’accinge a la missione:
Volge il passo a quel portone
Ove a sede l’alto astuto.

Con tre botte contro il legno
Egli annuncia ch’a l’impegno
Di purgare tutti i rei
E sfatare i loro dei.

Il guardiano lo respinge,
Accusando in occasione
L’ora tarda cui si spinge,
A parlar col suo padrone.

Guardiano (g):”Chi dimanda del signore,
Sappia inviso alle sorprese
Non son buone tue pretese,
Meglio passino le ore.”

R:”Date udienza alla giustizia.
Per la pace e dar letizia,
Il diniego non s’addice,
Sto giungendo da infelice.”

g:”Torna il passo e non turbare,
Ho l’impegno imperativo
Di lasciarti non passare,
Non t’importi del motivo!”

Così quegli nel negare
Ch’abbia modo d’esser schivo,
Da conferma non sia privo
D’una colpa da velare.

Per colpire il comandante
S’ha da infliggere sul fante.
C’è d’avere chi compose
Pria d’odiare cui propose.

Per stanare il prepotente
Ora Ruivhor parte a caccia
Dell’infido reo serpente,
Cui, però, non vede traccia…

Petuel fermo nell’offrirsi
Quale aiuto per la prova,
Meglio ch’egli non si mova
Già ha motivo di patirsi.

* * * *
L’AIUTO (III)

Poichè ramingo e di prove sprovvisto
Questi, che cerca di rei loro resa,
D’amico alle stanze si porta, già tristo,
Sapendo l’aiuti ignorando la spesa.

Giunto di questi, Melidor, alle porte
Per trarne vantaggio e parlar delle storte,
Non trova nè tempo a sonare la botta
Che l’altro l’accoglie e dimanda condotta.
R:”Tu che di guerra sei stato buon compagno,
Sappia dolerti di questo mesto ardito,
Fa ch’io punisca d’un male chi l’ha ordito.
Pria che la fede il tuo coraggio è magno.”

Melidor (M):”Bene tu sai sentirti quale figlio,
Dimmi del fatto e ciò che t’ha ferito
Quanto potrò, d’azione e col consiglio,
Porrò rimedio al dolo ch’a colpito.”

Ruivhor gli favella di quel ratto della bella
E del come non si puote far valere la sua stella.
Quando sono governanti o seguaci di potenti
Non c’è caso che sia lieve, son serrati loro denti.

M:”Non mi cogli di sorpresa, so della questione
Altre volte ho avuto senso c’egli fosse mascalzone.
Non crucciarti di tal fatta, puniremo del mal tolto,
Cui, nell’essere arrogante, ignora quant’è stolto.”

L’amico, detto questo, pria si cinge d’armamenti
Poi chiarisce col questore quale siano loro patti:
Per stanare li briganti s’ha da coglierli distratti,
Così vanno dentro i ghetti dove fanno appuntamenti.

* * * *
L’INDAGINE (IV)

All’ingresso d’un casale nel quartiere degli scarni
Melidor li guida nel cercare gran signora,
Concubina d’una volta, che siccome l’è matrona
Sa priare li viandanti coi piaceri delle carni.

Pria ch’ei possa dar questione d’accaduto,
Ella avventa in foga di viso a chi comanda;
D’altisonante voce mista a sputo
Pone risposta a quel che non dimanda.

Wizzy (W):”Vedo l’amore che fu del passato,
Ma non mi pento d’averlo traviato,
Ora conosco del mio mestiere
Quest’è il mio regno ed il mio forziere.”

M:”Tu che di vuoti hai fatto piena vita
E che passione hai dato via per l’altri,
Dammi occasione di condannar gli scaltri,
Trova l’onore di cui eri tanto ambita.

Vengo, scontento, spinto da bora,
Quia d’un amico mi debbo crucciare:
Questi, sconfitto, ha perso sua sora
Per colpa d’un cane che volle abusare.”

W:”Sai cosa penso, più non scocciare
Non vedo ragione per cui l’aiutare.
Sazio soltanto chi viene in disio,
Se questo è già tutto, allora, addio!”

M:”Se porto pazienza sarà per la pena
Che sento di donna che in vece d’un bello
Ha fatto radici di questo bordello
Non vengo nemico, ma di buona lena.”

Come studente, allorché non propenso,
Perso nel mezzo, fa colpa del testo,
Tale donnaccia ch’ignora il buon senso
Si volge all’altrove e fugge dal resto.

Di quanto s’è detto tra i due litiganti
S’accorge l’orecchio d’un uomo fra tanti,
Egli s’appresta a quelli in missione
E dice il suo nome, sì fosse nozione.
Norris (N):”Io son Norris, vanto delli buoni,
Faccio che voi possiate trar vantaggio
Dalle fatiche di questo cupo viaggio:
So di malvagi e di dove lor portoni.”

R:”Pria che favelli delle tue allusioni,
Dacci ragione per cui t’ascoltare:
Cosa ti volge a udir l’accesi toni?
Non credo di te ch’io possa fidare…”

N:”Voi dite bene, di me non sapete
E qui non è luogo s’addica d’un prete,
Ma nella stima ch’io sia n’arrogante
Sarebbi più stolto pria che principiante.

Già che ho peccato più volte in lussuria,
Questo non vale del reo mi sia dato.
Anzi che altrove avrebbi ignorato
L’azioni e l’intenti commise ‘sta curia.”

R:”Siccome che se fato vuole non si scampa
E in merito d’usura non v’e’ precedente,
A guisa d’un confesso trarrò della tua stampa.
Parlami di tana e di quel serpente.”

N:”Si voi consentiate vestirò da Virgilio,
Poiché li malvagi riposano al concilio
Tra fronde fitte e fiere di quel bosco
Che a molti s’inghiotte, non me, lo conosco.”

Al tempo Ruivhor doleva fidarsi,
Ma, già che la strada pareva impedita,
Decide dell’uomo seguire le dita.
In più di Melidor, Norris sa il farsi.

Li tre avventurieri montano in sella
E passano svelti a trottar settentrione,
In cerca dell’uomo che ha preso la bella,
Stregato dall’oro di quel mascalzone.

* * * *
L’AGGUATO (V)

Dal passo la guida si ferma e comanda
Che s’alzi la tenda per trarne riposo.
N:”Sappiate ch’è bene che pria della randa”,
Volgendo lo sguardo quei due dietro all’uno,
N:”Non già che smarrito, neppure scontroso,
M’ascolto sapiente del vento opportuno.”

Come viandanti nel mezzo d’un viaggio,
Tali s’accostano appresso il bivacco.
R:”Tardo qui il tempo che lei fa d’ostaggio”,
Trattando nel mentre di quello che occorre,
R:”Conduci da quelli, che lì ponga scacco,
Fa che io trovi, saprò cosa imporre.”

Visto in amico da rabbia pazienza supplita,
L’altri si china e dibatte a conforto.
M:”Pensiero non vuole che sia seppellita”,
Scuotendo col capo e stringendo la mano,
M:”Volgi al consiglio di sole già sorto,
L’azione s’è fatta, almeno sia sano.”

Destato al mattino che s’alza d’oriente
Ruivhor si sveglia per tesser la trama,
Si volge nel fianco a cercar la sua lama,
Ma perso e deluso lì trova più niente.

Di quei pochi istanti l’increduli occhi
S’accorgon parvenza in durata dell’ore,
A quel che ha sofferto s’aggiunge un dolore:
Norris ha tradito, egli è re dei cocchi.

Per l’ira e l’ardire che infonde il suo carma,
Già che d’ardore non perde la speme,
Nemico l’avvolge, ma quegli non teme,
Si parte alla sfida pur privo dell’arma.

Quanto in virtù, si dira dei pionieri
Ch’egli l’ha vinta con grande coraggio,
Ma per le botte l’ardito ed il saggio
Soccombono in fretta e son prigionieri.

* * * *
LA SFIDA (VI)

Scortati d’un pugno di militi odiati,
Li due avventurieri traversano il verde,
Seguendo il sentiero ch’ognuno si perde,
Infino uno spiazzo di fusti tagliati.

Con polsi legati e caviglie impedite
Quei sono condotti al comando in udienza,
Che’ loro sentenze si voglia eseguite,
Colui che decide ignora clemenza.

Esperto in concetto che move le menti,
Se farsi ingannare saranno contenti,
Melidor consiglia a superar lo scoglio
L’altri colpisca di stolti l’orgoglio.

R:”Se avessi la spada per darmi occasione
Sapreste crucciarvi dun’ardua lezione:
Voi già siete vili pria che traditori
Temiatemi in fronte dei vostri pretori.”

N:”Ciò che proponi, benché in presunzione,
Mi muove tra risa a volerti provare,
Sia datagli l’arma, Perisca in azione!
Tu pensi all’offesa pria che a supplicare…”

Grave in errore, Norris da il gladio
A quegli lui pensa che sia l’incapace;
S’accorge ben presto di quanto è mendace
Credenza che l’uomo parlasse da stadio:

Più schiere d’armati si gettano incontro
Per foga che move al richiamo di scontro,
Con vanto e l’intento di spargerne il sangue,
Non putano possa che quegli non langue.

Ruivhor vede caso al tempo d’una sfida,
Di destra stringe l’elsa e rotea della punta,
Son pauci li fendenti, li quali tutti in grida
Si spengono trafitti nell’altri della giunta.

Il re dei caduti in vergogna nel fango,
Si scosta d’un passo e ripiega in adunco.
Come folata che vince sul giunco,
Tale quell’uomo ch’impone il suo rango…

R:”Ora più del resto ti mostri da meschino,
Se lungi vuoi si spinga l’infame tuo destino
Conducimi da Chordy, ‘chè sappia non sia sola.
Racconta un’altra falsa e perderai la gola!

Già che l’offesa è di paga mancante,
Farò, non di meno, applicata la legge:
Rendimi l’oro t’ha offerto il mandante,
Sarà del suo stemma colpito cui regge.”

Si scopre presente, interrato, un anfratto
Del dove sta schiava l’amata sorella.
L’ardito comanda stia salva in cappella,
Giacchè non s’avveda cui pose del ratto.

* * * *
PRESAGIO (VII)

Quanto l’ardito è maestro in battaglia,
Tanto è precario nel porre l’arringa:
Per Petuel, quei faccia che cappio lo stringa,
S’affida in giustizia ch’ei porti la maglia.

P:”Gravare in evidenza per danno ai valori
Si puote in consenso d’uomo alla pari:
Tra quelli che stanno paffuti ai favori
Si perde la speme che n’abbiano cari.”

R:”Pena fa piaga di cui mi confessi,
Ma viva è la gloria di vostri promessi…
Saprò dar nozione a tutte le genti
Di quanto è meschina virtù dei potenti.”

Un giorno non più lungi del domani
La sorte tornerà del suo compenso
A quegli volle alzassero le mani,
Di quel dì sarà quel che ora penso…”

[…]

Farò che più in avanti la storia non sappiate,
‘chè d’avvenire si parli in altrimenti,
Se dessi lasso a celebrar ciò che sognate,
Vi struggerei per core e per le menti.

Fermiate, invece, il tempo in questi versi
Li quali sono lieti e mai diversi
Da quanto v’aspettiate aver novella
Del mio parafrasar intorno a bella.

Lasciate ch’io vi dedichi l’auspicio
Di voi possiate offrire simil sorte
Di quella che han voluto in fino morte
D’amore, Petuel e Chordy, in pontificio.

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